Non ricordo quando erano cominciati i bombardamenti aerei di Milano, dove io abitavo. Probabilmente doveva essere il 1942. Di quegli attacchi aerei ricordo però che avvenivano di notte.
Si cominciava a sentire il suono delle sirene di allarme. I miei genitori si alzavano in tutta fretta, si vestivano alla meno peggio, mi prendevano e mi portavano, con la massima sollecitudine, nello scantinato del palazzo dove abitavo. Lì sotto era stato allestito il rifugio, una stanza male illuminata arredata solo con alcune panche allineate lungo le pareti. La porta di accesso al rifugio era di metallo e per aprirla bisognava azionare una ruota, una specie di volante, come se ne sarebbero poi viste nei film di guerra ambientati nei sottomarini. Quella porta mi affascinava e mi affascinava il processo per la sua apertura. Durante l’attacco si stava tutti seduti, nessuno quasi parlava, ad aspettare gli scoppi delle bombe. Taluni lontani, taluni più vicini. Infine arrivava l’urlo delle sirene che annunciava la fine degli attacchi. E allora, tutti rincuorati, ritornavamo alle rispettive abitazioni,ciascuno con la curiosità di vedere, la mattina dopo, quali erano stati gli effetti dei bombardamenti. E ricordo, abbastanza distintamente, l’aspetto lugubre degli edifici distrutti o danneggiati.
Fu per l’angoscia dovuta ai bombardamenti che mio padre decise, di comune accordo con la mamma, di trasferire tutta la famiglia a Siena dove aveva avviato, non so da quanto tempo e in quale modo, una attività di taglio dei boschi per rifornire in principalmente il Genio dell’Esercito, per le incombenze legate alla guerra. Il nostro trasloco si realizzò penso nella tarda estate del 42, dato che mio fratello doveva potersi iscrivere al liceo scientifico; cosa che puntualmente avvenne .
A Siena prendemmo alloggio in una prima fase in un albergo molto bello posto proprio sopra lo stadio di calcio della città. Dalle finestre della nostra camera mi ricordo che vedevo tutto il prato verde e le gradinate che lo circondavano. La città rimase per un certo periodo di tempo tranquilla, ma poi cominciarono i bombardamenti.
Durante i mesi di relativa calma ricordo che avevamo preso l’abitudine di pranzare in un ristorante posto proprio nella meravigliosa Piazza del Campo. Lì vidi esercitarsi gli sbandieratori del Palio, vestiti nei loro variopinti costumi medievali. Che spettacolo per me! Li guardavo sbalordito sia per la loro bravura, sia per la bellezza dei loro vestiti.
In quel ristorante mio padre aveva fatto amicizia con un signore, del quale non ricordo la professione, ma che mi aveva colpito perché era piccolo quasi quanto me ed era gobbo. Si perdevano in lunghi colloqui e discussioni, mentre io stavo vicino alla mamma. Andavano avanti anche per ore, e per me era una vera noia stare ad aspettare che finissero.
La città, così antica e differente da Milano, mi piaceva. Mi rimasero impressi il Duomo e i bastioni del Castello, sopra i quali era stato realizzato un bellissimo giardino. Nel fossato del castello era stato realizzato un campo di atletica, dove venivano ad esercitarsi gli studenti. Vidi anche Lamberto impegnato nel lancio del giavellotto.
Sempre per ragioni di sicurezza ed anche per maggior vicinanza ai luoghi dove si svolgeva il lavoro di mio padre ci trasferimmo da Siena a San Felice, una piccolissima frazione del comune di Castelnuovo Berardenga. Lì la vita poteva proseguire tranquilla, anche se i disagi della guerra cominciavano a farsi sentire. Non era facile procurare il cibo, ma fra contadini che vendevano qualcosa, l’uovo quotidiano che sfornava una gallina che era l’orgoglio della mamma e qualche lepre uccisa di notte perché colpita e travolta dall’auto di mio padre che sfruttava l’abitudine di quelle bestie di bloccarsi nell’attraversamento perché abbagliate dai fari della macchina, ce la cavavamo a sufficienza.