Scampati alla Liberazione

Il primo periodo del Dopoguerra si snodò fra un costante proliferare di nuovi partigiani, che spuntavano allegramente, dopo essersi opportunamente riciclati. Molti sostenevano di essersi mimemizzati sotto il fascismo, lavorando clandestinamente alla caduta del regime.

Fra i pochi, dichiaratamente fascisti fino all’ultimo, vi furono molti che pagarono con la vita, giustiziati sommariamente. Altri vennero solo epurati e tolti ai loro impieghi. Le donne subirono l’onta e la vergogna del taglio a zero dei capelli, per renderle immediatamente visibili a tutti e tutte disprezzabili.

Venne fatto, come sempre succede, un repulisti che non guardava troppo per il sottile. Per fatti pubblici, o per casi privati, o per vendette singole, molti ne pagarono, magari immeritatamente, le conseguenze.

I miei erano, senza farmelo capire, molto preoccupati per ciò che poteva essere successo a Lamberto. Di lui non avevamo, comprensibilmente, notizie. Non si conosceva la sorte sua e dei suoi commilitoni, isolati in alta montagna in una zona forse ostile.

Grandissima fu la nostra gioia quando, dopo più di un mese dal giorno della Liberazione, mio fratello riuscì ad arrivare a Milano sano e salvo. Era in compagnia di alcuni suoi commilitoni con i quali, camminando di notte e nascondendosi di giorno, aveva coperto il tragitto di almeno due o trecento chilometri dalle valli del Cuneese sino a destinazione. Ci raccontò che sia lui che i suoi compagni erano stati aiutati da persone del posto a liberarsi delle uniformi e ad indossare abiti civili. Se fossero stati scoperti da qualche formazione di Partigiani malintenzionati, potevano correre grandi rischi.

Proprio per evitare il pericoli delle rappresaglie, noi ospitammo prima a Birago e poi a Milano tre dei suoi amici, tutti originari del Bassanese, che temevano guai nel rientrare al loro paese, visto che vi erano stati molti fatti di sangue messi in atto per vendetta.

Due dei suoi compagni si trattennero da noi per pochi mesi; uno invece, che di nome faceva Secondo Nosadini, restò a casa nostra almeno sino al 1947!

Questi episodi penso diano una chiara idea di come i tempi fossero per nulla tranquilli. La vita dei più stentava molto a normalizzarsi.

Intanto la mia personale fantasia si concentrava su quali fossero, e come fossero, quei mitici soldati americani. Pochi giorni dopo la Liberazione avevamo cominciato a vederli circolare sulle loro Jeep o sui camion: i Dodge e gli Chevrolet. Erano circondati da un vasto alone di simpatia, alimentata anche dalla loro generosità a distribuire viveri, dolciumi e la loro tipica gomma americana, quella da masticare. E quando arrivava un mezzo degli americani era subito circondato da una frotta di bambini festanti. Più riservati e molto meno benvoluti erano gli inglesi, che evidentemente dovevano mettere in conto la loro minore disponibilità di mezzi, voluttuari o meno.


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