Giugno 1944: via da San Felice

Gli insistenti bombardamenti americani avevano completamente cancellato la rete ferroviaria italiana. La distruzione di molti ponti aveva a sua volta reso difficilissime le comunicazioni stradali.

A maggio del 1944 la resistenza tedesca a Montecassino cedette e gli Alleati poterono così continuare la conquista dello Stivale. Ai primi di giugno le truppe liberatrici entrarono in Roma.

Gli alleati entrano in Roma da Porta Maggiore – Foto: Roma ieri e oggi

Per mio padre, e di conseguenza per tutta la famiglia, la situazione divenne sempre più insostenibile. Avendo lavorato molto con le forniture all’Esercito era logico che papà avesse da tempo aderito al partito fascista. Era necessario lasciare Siena, per non subire conseguenze tragiche e rientrare a Milano, per mantenere i contatti con Lamberto, ancora in Germania, ed aiutare mia nonna Rosa, rimasta vedova da così poco tempo. Venir via da Siena voleva però dire affidare ad altri la conduzione dell’azienda e la gestione del patrimonio. Mio padre incaricò un suo impiegato, che era la persona che seguiva la parte amministrativa, sperando che curasse con scrupolo i suoi interessi. Cosa che, puntualmente, non avvenne.

In una data che non so precisare, ma che stimo fosse verso metà giugno del 1944, la mamma e papà caricarono nella nostra macchina alcune valigie con effetti personali, chiusero casa e partimmo con l’arrivo del buio. Era una propria e vera fuga, perché non era dato da sapere cosa sarebbe successo se avessimo lasciato San Felice di fronte alla gente del borgo. Molti ci erano amici, molti erano riconoscenti verso i miei genitori, ma non c’era modo di fidarsi. Di esaltati e voltagabbana si cominciava ad avvertire l’esistenza e gli ex prigionieri di guerra, cui s’erano uniti coloro che si erano imboscati, cominciavano a costituire una minaccia sempre più forte.

La prima parte del viaggio si svolse col favore della notte, ma non potemmo che coprire una modesta distanza, arrivando ad una quindicina di chilometri da Firenze. Mio padre chiese rifugio ad un contadino, e la macchina venne nascosta nel fienile, mentre noi venivamo ospitati nella cascina. Il giorno seguente mio padre non si azzardò a proseguire il viaggio di giorno, perchè sulla strada verso Firenze stavano transitando le colonne di soldati e mezzi tedeschi in ritirata. La loro marcia era però ostacolata dalle frequenti incursioni degli aerei alleati che sganciavano bombe e mitragliavano. Proprio quella mattina, con i mezzi tedeschi che si muovevano in colonna, un aereo scese a bassisima quota e cominciò il suo attacco. La strada era distante non più di una cinquantina di metri dalla fattoria e mio padre ed io eravamo usciti per osservare il passaggio delle truppe. Quando papà si accorse del mitragliamento, mi scaraventò in un fossetto e mi coperse con il suo corpo. Fu quello il mio battesimo diretto con i fatti di guerra.

Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, entrò nell’aia della fattoria un camion, sul cassone del quale vi erano alcuni militari con le divise della milizia fascista. Sapevano della presenza dell’auto (chi li aveva informati?) e requisirono – per ragioni belliche – la macchina. Per la sua restituzione, mio padre poteva rivolgersi al comando della milizia, a Firenze. Logicamente il giorno dopo, quando papà andò a Firenze, ebbe la notizia che i requisitori non erano fascisti, ma partigiani travestiti. L’auto era perduta e noi ci trovavamo senza mezzi e senza collegamenti, né stradali, né ferroviari, con il capoluogo toscano. Del tragitto verso Milano, avevamo fatto ben poco.


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